♦ Alla luce di quanto sta accadendo negli ultimi tempi, penso sinceramente che Vincenzo Cirasola sia vittima di una congiura del destino. Sembra infatti che la sorte gli abbia giocato un tiro mancino, riservandogli un penoso contrappasso che lo costringe a subire, per analogia, situazioni corrispondenti a quelle cui egli stesso aveva dato vita nel passato. Nulla a che vedere, s’intende, con la pena alla quale i peccatori danteschi - facciamo conto l’ipocrita o il consigliere fraudolento o il seminatore di discordie, portatori di tormento a danno di chi era caduto nei loro tranelli e ne aveva seguito i “mali consigli” - vengono simbolicamente condannati, per penna del sommo poeta, ad analoga sofferenza affinché riparino le proprie colpe.
Mi riferisco piuttosto, molto più laicamente, a due passaggi di difficile digestione che hanno segnato la storia associativa recente di Cirasola. Da un lato lo scioglimento del Fondo pensione integrativo del Ga-Gi, una circostanza piuttosto imbarazzante per chiunque abbia espresso talmente tanti e tali dubbi sulla tenuta nel tempo del Fondo Pensione Agenti, che un certo numero di soci ha finito per trasferire altrove i propri zainetti previdenziali perdendo un sacco di quattrini.
Ecco quindi cadere la prima delle tegole alle quali mi riferivo, costituita dall’annuncio diramato di recente dal Fonage, salvato dalla risolutezza del Presidente e dell’EN Sna e rilanciato dal CdA a guida Francesco Libutti, di avere aumentato le pensioni in un sistema imperniato sulla rendita definita.
E ciò a dispetto del fatto che Anapa, di cui Cirasola è parimenti Presidente, nell’aprile del 2019 si ostinasse a postulare più di un’incognita sul futuro del Fonage: “la strada da percorrere è ancora lunga e non priva di insidie” si leggeva in un comunicato stampa dell’epoca pubblicato nel sito istituzionale. L’ufficio stampa, dopo avere ammesso che il Fondo aveva fatto registrare utili per 29 milioni di euro, concludeva il testo esprimendo la seguente domanda enigmatica: ”vi sono o no le condizioni affinché queste performance possano essere ripetute anche in futuro?”, lasciando così intendere che no, le condizioni non c’erano.
Insomma, così innumerevoli insidie e così scarsa certezza nei risultati futuri che dopo 3 anni il Fondo pensionistico integrativo della categoria, pur senza smantellare il tesoretto finalizzato alle riserve accumulate, ha destinato 70 milioni di euro, tratti dall’utile corrente, alla rivalutazione delle prestazioni pensionistiche. Che figuraccia per i gufi che paventavano disgrazie!
E poi la seconda tegola, il momentaneo “commissariamento” conseguente al provvedimento, adottato dal Tribunale di Treviso con decreto del 28.9.2022, di nominare un curatore speciale per rappresentare il Ga-Gi nella causa intentata da quattro colleghi elettivi, tra i quali i due ex Vicepresidenti, in quanto il Presidente e la Giunta, secondo i ricorrenti, non sarebbero stati legalmente capaci di rappresentare l’associazione. Provvedimento poi revocato dal Tribunale trevigiano in occasione della prima udienza svoltasi il 14 ottobre u.s, con condanna dei ricorrenti alla refusione al Ga-Gi delle spese di causa e giustizia, non sussistendo conflitto di interessi nella rappresentanza del Gruppo da parte del vertice associativo.
Pende ora un’altra istanza, la cui udienza del 25/10 è stata rinviata al prossimo 22 novembre, presentata dagli stessi quattro elettivi per richiedere la sospensione in via cautelare della delibera che ha rinnovato l’incarico di Presidente a Vincenzo Cirasola. Una delibera che, secondo i dissidenti, potrebbe arrecare un danno irreparabile agli associati al Gruppo agenti. Eppure a suo tempo la nomina del Commissario straordinario aveva fatto elevare, da parte dei detrattori del Fonage, un coro di critiche contro la sua gestione, quasi fosse una dimostrazione di colpa a carico del Cda. Mutatis mutandis, il fatto di avere subito la nomina di Pietro Maschietto in qualità di curatore speciale, seconda pesante tegola caduta all’improvviso tra il capo e il collo di Cirasola, deve avergli fatto vivere l’infelice sensazione del condannato senza processo, sia pure per una sola quindicina di giorni.
Dal mio canto, lascerò che la giustizia faccia il suo corso evitando di esprimere qualsiasi considerazione nel merito e, nel frattempo, prendendo le distanze dai sostenitori di comodo che, ai primi segnali di affondamento, sgomiteranno per un posto sicuro nelle scialuppe di salvataggio, rassicurati dal fatto che, dopo avere approvato l’inchino della nave, la responsabilità di abbandonare per ultimo il ponte incombe unicamente sul capitano.
Sta di fatto che il danno maggiore derivante da un attaccamento eccessivo alla carica ricoperta si rifletterà inevitabilmente sulla coesione interna da cui dipende in larga misura il peso della rappresentanza aziendale. Non c’è dubbio, infatti, che ogni personalismo capace di inquinarne gli scopi istituzionali indebolisca la trattativa di secondo livello, con il rischio (laddove non sia già accaduto nel passato) di appiattire il negoziato su posizioni di sostanziale fiancheggiamento degli interessi contingenti e strategici della mandante, ora più che mai divergenti da quelli della rete agenziale.
Con questo non intendo unirmi al coro di prefiche, tra le quali anche qualche top manager, che “per il bene del Ga-Gi” suggeriscono l’abbandono da parte del Presidente in carica e la nomina di un “governo tecnico” alla Mario Draghi, quanto piuttosto esprimere la seguente notazione di natura pragmatica: ogni leader avveduto sa che è meglio capire quando andarsene tra gli applausi, anziché attendere di essere cacciato tra i fischi e quindi, per concludere, non mi resta che proporre un grande applauso rivolto a Vincenzo Cirasola. Chissà che lo aiuti a intuire l’antifona.
Roberto Bianchi