♦ La mia avversità nei confronti della proliferazione burocratica è nota da tempo, esattamente come il mio convincimento che la condivisione con le associazioni consumeristiche di un decalogo di regole comportamentali a cui ispirare l’attività dell’agente professionista nelle fasi di consulenza e di assistenza alla clientela sia l’unica soluzione efficace verso la semplificazione e la trasparenza del mercato.
Al contrario il Regolatore ha maturato la convinzione che costellare di ostacoli il percorso attraverso il quale si passa dalla trattativa all’erogazione del servizio assicurativo - che mi ostino a non chiamare vendita, così come non chiamo prodotto la polizza e distributore il consulente assicurativo iscritto nella Sezione A del Rui – sia il modo più corretto per garantire la tutela del consumatore.
Dopodiché il fiume di pagine con cui inondiamo ogni giorno i nostri clienti rimane lettera morta e l’italiano sprofonda inesorabilmente in un abisso di analfabetismo assicurativo che gli impedisce di gestire in modo corretto e moderno il rischio che riguarda la sua famiglia, la sua professione, la sua azienda, senza rendersi conto, per semplice ignoranza, che sarebbe possibile trasferirne una parte consistente alle compagnie di assicurazione in cambio di un porzione ragionevole del proprio reddito. Subiscono danni da questa incultura il sistema Paese nel suo insieme e in particolare il welfare, costretto a prendersi carico delle situazioni di forte disagio in cui vengono a trovarsi i singoli individui in dipendenza dei casi della vita e delle situazioni di emergenza collettiva soprattutto in occasione dei disastri climatici e sanitari. Anche perché le fabbriche prodotti si dimostrano sempre più orientate al business e alla distribuzione annuale degli utili di bilancio agli azionisti che non alla risposta adeguata e coerente al bisogno di sicurezza proveniente dai cittadini.
Le multe milionarie comminate dall’Antitrust ai principali competitori assicurativi e bancari e le altrettanto milionarie sanzioni inflitte ai cosiddetti comparatori e intermediari telematici dimostrano peraltro che il ruolo di operatore disposto a farsi carico di garantire un servizio rispettoso del potenziale valore sociale contenuto nelle coperture assicurative è tuttora vacante. Per questo motivo gli agenti iscritti allo Sna devono candidarsi con forza a ricoprire una funzione così delicata, a partire dal consolidamento e dal rilancio della propria identità morale e dalla rivendicazione dell’autogoverno della categoria. Sono però chiamati a fare un salto di qualità ancora più coraggioso, prendendo le distanze dalle logiche finanziaristiche dei conglomerati assicurativo-bancari e dalle strategie di profitto su cui sono imperniate i disegni industriali delle mandanti.
Mi siano consentite due riflessioni, la prima riguardante l’atteggiamento tenuto da Ivass e Antitrust rispetto ai possibili fenomeni di contagio finanziario correlati alla bancassicurazione e alle opacità, più o meno conclamate, degli accordi commerciali, delle joint venture e degli scambi azionari tra banche e assicurazioni.
Collaborazioni che lasciano spazio a pratiche scorrette di “vendita baciata” dei prodotti assicurativi preconfezionati collegati alla concessione di mutui e linee di credito, confermate dalle sanzioni di due anni fa a carico dei maggiori istituti di credito. E sollevano dubbi sui possibili conflitti di interesse, nel passaggio del denaro raccolto da soluzioni assicurative a soluzioni bancarie, come ad esempio favorire il riscatto di polizze vita allo scopo di sostituirle con prodotti di natura bancaria.
Ebbene, se fosse utilizzato lo stesso livello di rigidità normativa destinato alle collaborazioni orizzontali tra intermediari iscritti al Rui e ai cosiddetti “stretti legami” degli agenti, ritengo che pochi di questi negozi incrociati, che peraltro muovono miliardi di euro all’anno, passerebbero attraverso il filtro regolatorio. Ne consegue il giustificato sospetto che il criterio dei due pesi e delle due misure sia ancora la regola nella nostra amata terza Repubblica.
Per non parlare poi dell’altra criticità costituita dal patrimonio di dati derivanti dai questionari, dalle proposte, dalle polizze, dai sinistri, sulla cui titolarità e proprietà industriale varrebbe la pena di spendere più di qualche parola, tenuto anche conto della battaglia che lo Sna sta combattendo a difesa dei diritti attribuiti agli agenti dalle norme in vigore.
La seconda riflessione riguarda l’effettiva convenienza per una compagnia di stipulare joint venture e scambi azionari con istituti di credito, laddove il beneficio tratto dalle banche mi sembra evidente, in tema di diversificazione delle fonti di ricavo, di utilizzo più completo delle strutture, di maggiore impiego del personale sottoccupato, di ampliamento del catalogo prodotti. Molto meno comprensibile invece la scelta delle compagnie di investire nelle banche con ritorni marginali nel ramo danni, soltanto l’8% complessivo del mercato, tenuto conto anche della quota di Poste Italiane. Operazioni talvolta in perdita come nel caso di Axa che, dopo avere bruciato 1 miliardo di euro nell’avventura Mps, un titolo che vale in borsa appena 20 milioni di euro, sarebbe disposta a sottoscrivere ulteriori 200 milioni del prossimo aumento di capitale, il settimo in 14 anni.
Ma quanta raccolta auto e non auto avrebbe acquisito Axa se avesse investito quel denaro sugli agenti professionisti che ne ripetono il mandato?
Un discorso a parte meriterebbe infine Poste Assicura che nel 2021 ha fatto registrare una raccolta di 318 milioni di euro e ha totalizzato perdite per 345 mila euro al netto delle imposte, a dimostrazione del fatto che in un mondo migliore le Assicurazioni tornerebbero a fare polizze, le Banche a gestire denaro e le Poste a consegnare lettere e pacchi.
Roberto Bianchi
Nel mio mondo ideale Assicurazioni, Banche e Poste farebbero soltanto ciò che hanno sempre fatto
