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Giacomo Anedda

 

♦ La pratica del caporalato è un’attività illegale, in quanto volta all'elusione della disciplina sul lavoro e più propriamente, allo sfruttamento di soggetti bisognosi. Le vittime del caporalato godono (si fa per di dire), di salari notevolmente inferiori rispetto a quelli previsti dagli accordi di settore e, molto spesso, privati anche dei contributi previdenziali.
Quando se ne sente parlare, si è portati a credere che questa odiosa pratica sia circoscritta al mondo dell’agricoltura, ma così non è. Considerando quanto sta accadendo oggi nel mercato del lavoro, dobbiamo riconoscere che il modello di sviluppo, basato sullo sfruttamento delle persone più deboli, non si limita alla raccolta dei pomodori, ma trova seguaci anche in altri settori, non ultimo quello assicurativo.
Altrimenti, se così non fosse, come giustificare mandati agenziali privi delle tutele sancite dall’accordo A.N.A.? Mandati con provvigioni dimezzate seppur a parità di oneri agenziali. Se non è sfruttamento, come dobbiamo allora catalogare i tentativi messi in atto da talune compagnie, di sostituire la provvigione di ramo con quella di prodotto, o peggio di polizza, ovviamente con percentuali inferiori rispetto al mandato provvigionale? Se non è sfruttamento, a che titolo e per quale principio, economico, sociale o morale talune compagnie non esitano a chiedere alle proprie reti di sostenere progetti lavorativi e operazioni commerciali a “zero provvigioni”, col solo “grande vantaggio” – per gli agenti - di “fidelizzare” la clientela?
Come se in nome della fidelizzazione fosse normale lavorare gratis per le mandanti e rinunciare a un equo e doveroso compenso professionale. Neanche che le agenzie, come qualunque altra impresa commerciale, non vivessero di ricavi, ma di semplici ringraziamenti. Di pacche sulle spalle con le quali pagare gli stipendi, le locazioni, i canoni, i fornitori e mantenere la famiglia. Curioso poi come tanto altruismo e sensibilità fidelizzante, vengano pretese dagli agenti, ma non dai manager che, pur potendolo fare, non risulta rinuncino ai loro compensi.
Manager tanto attenti ai mutamenti del mercato che, tuttavia, sembra non si rendano conto che le reti - pubblicamente elogiate nei meeting e definite “indispensabili” – vivono di premi e di provvigioni; le stesse che anche a causa della pandemia, continuano a ridursi (la sola Rcauto -23% negli ultimi 7 anni). Così che mentre le compagnie accumulano utili, gli agenti si impoveriscono e si indebitano, pur di non licenziare i dipendenti.
In questo contesto economico che rischia di travolgere la categoria, alcuni Gaa, evidentemente in altre faccende affaccendati, tardano a far propria la proposta avanzata dallo Sna, che per bocca del Presidente nazionale Claudio Demozzi, chiede il riconoscimento di una tabella unica nazionale di riferimento per le provvigioni di mandato. Una provvigione “minima” del 15% per la Rcauto, del 25% per le Cvt e del 35% per le R.E. Inoltre un compenso di almeno 50 euro per l’apertura di ciascun sinistro e di 100 euro per ogni sinistro aperto e liquidato.
Cari presidenti di Gaa - non mi riferisco a tutti naturalmente, ma soltanto a coloro che sembrano non avere raccolto l’invito del Sindacato - se la contrattazione economica è di vostra competenza, questo è il momento di dimostrarlo. Per gli ottoni c’è sempre tempo.
Giacomo Anedda

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