Sabato, 04, Mag, 6:25 PM

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Mauro Pomata


♦ “Ho visto un Re” diceva il buon Enzo Jannacci. Mi sento di proprietà di qualcuno? Francamente no. Mi sento parte di un gruppo che lavora nel MinCulPop per addomesticare la realtà e renderla confacente agli scopi di Sna (rectius del dottor Claudio Demozzi)? Francamente no.
Sono entrato a far parte della redazione molto di recente, non perché sentissi nell'intimo questa irrefrenabile voglia di dedicarmi al tessere lodi al potente di turno, ma più semplicemente perché Roberto Bianchi mi ha proposto di lavorare in questo gruppo e – vista la mia natura anarcoide, certificabile da coloro che mi conoscono meglio - ho accettato non senza dubbi. Al primo incontro con Roberto ho subito chiarito che se la redazione era in cerca di elementi da avviare all'attività (molto diffusa sul globo terraqueo) di yes man non ero l'elemento adatto allo scopo.
“Scrivi quello che vuoi, non ho mai censurato nessuno” è stata la risposta del Direttore. “Ovviamente devi condividere la linea politica di Sna”. Non di Claudio Demozzi, di Sna! Il giorno che avrò non le prove ma la semplice sensazione che la creatura Demozzi si sia impossessata della creatura Sna, non avrò la necessità di alcuna sollecitazione esterna per abbandonare questo gruppo di lavoro e lo Sna-Demozzi. Perché? Odio intimamente Claudio Demozzi? No, ma aborro qualsiasi culto della personalità (peraltro tanto in voga tra gli italiani!). Ma oggi – fortunatamente! - non ho questa percezione. Questo significa che io condivida pienamente tutte le singole scelte del Presidente Demozzi e del gruppo dirigente di Sna? Viva Dio no, ma ne condivido l'agire concreto a tutela della categoria, cosa che non vedo in altre sedi.
Sugli strumenti si può e si deve discutere. Sono uno strenuo assertore del principio che la nudità dei re (quanti ne abbiamo in giro!) vada urlata e non sussurrata, perché la verità fa male diceva la Caterina, ma è indispensabile. Mi interessa sapere cosa le persone vogliono fare e come, non le percentuali di voto o gli scarti tra un candidato e l'altro.
Siamo umani e la tentazione è forte, ma trovo tristemente inutile concentrare energie nel ricercare le contraddizioni e gli errori che caratterizzano il comportamento altrui, nessuno escluso. Molto più complesso e doloroso è il percorso di autocritica, indispensabile per il singolo quanto per la formazione sociale in cui opera, se l'agire vuole essere orientato alla crescita, che è realmente tale solo se dispiega i suoi effetti sulle totalità. Quando ascolto le argomentazioni critiche sono solito fare una valutazione riconducendole a uno schema interpretativo così strutturato: “critichi il sistema non perché non ti piaccia ma perché ti ha escluso, oppure critichi il sistema perché non ti piace e lo vuoi cambiare?”.
I congressi, le elezioni politiche, i consigli di classe, le scelte in famiglia sul dove andare in vacanza non devono generare vincitori e vinti, devono portare all'individuazione delle idee che riteniamo più efficaci per raggiungere i nostri scopi, che non sono gli scopi di qualcuno, sono gli scopi condivisi dalle comunità, quelle che siano.
Tornando a Enzo Jannacci, il testo della canzone è abbastanza lungo e impone una sintesi. Non dobbiamo piangere, perché piangere rattrista tutti, soprattutto i potenti. Facciamoci una risata, è molto più efficace.
Mauro Pomata

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