Mercoledì, 29, Nov, 7:17 PM

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Roberto Bianchi

 

♦ È vero che in questo disgraziato spicchio di storia, in cui un invisibile parassita miete giornalmente migliaia di vite e un individuo di dubbio equilibrio mentale si sente libero di macchiare la sua gente della vergogna di sterminare un popolo fratello, appellarsi ai diritti sembra quasi fuori moda. Eppure, io mi sforzo di parlarne a ogni piè sospinto, nella convinzione che fare parte di una comunità, anche quella degli agenti di assicurazione significhi mettere da parte i particolarismi che derivano dagli affanni personali e ragionare in un’ottica collettiva, pur rimanendo la conduzione della propria agenzia un fatto prevalentemente privato.
Ci sono delle norme etiche, dei concetti giuridici, in particolare il riconoscimento delle conquiste acquisite, che sono, o meglio ancora dovrebbero essere e rimanere nel tempo, alla base della nostra vita di relazione con le mandanti. Infondo sono proprio i valori fondanti a fare la differenza, a testimoniare la consapevolezza degli individui di essere portatori di diritti e doveri, non in quanto agenti o manager di compagnia, ma come soggetti che imperniano il proprio rapporto sul rispetto reciproco.
Questo in un mondo ideale, s’intende, perché nel mondo reale declinato meccanicamente dal management a tempo delle imprese che perseguono la speranza mai sopita di marginalizzare la rete agenziale nella loro strategia di sviluppo industriale di breve-medio termine, ciò che muove quelle che sono solito definire le non-coscienze o le coscienze fredde, carenti di umanità, è soltanto la logica del profitto.
Sta di fatto che il martellamento continuo esercitato sulla percezione del loro incerto futuro, ha finito per condizionare gli agenti a pensare in negativo, a maturare un’aspettativa professionale ogni giorno più precaria, provocando in molti la sindrome del sopravvissuto, di quello che dice: ”io speriamo che me la cavo”, come titolava un famoso zibaldone di qualche anno fa.
E se per cavarmela devo accettare la mensilizzazione dei premi vita e l’utilizzo dei pos di compagnia, o devo subire la contitolarità dei dati con la mandante e cedere ad essa la proprietà industriale del relativo data base, o ancora sono costretto a subire l’inserimento in un cluster commerciale che mi penalizza, lo faccio senza battere ciglio, “tanto per me non c’è comunque speranza”. Giacché ci sono, nel tentativo di acquisire un minimo di autonomia assuntiva sottoscriverò anche un contratto di collaborazione con qualche comparatore che fa carta straccia dell’Accordo nazionale agenti e delle tutele in esso contenute, perché in fondo “qui c’è più poco da difendere”. Magari mi allargherò firmando anche con una telefonica, meglio se della mia stessa mandante principale così se l’ispettore lo scopre non mi dice niente. Anche in questo caso mi privo del trattamento di fine collaborazione, delle penalità in caso di revoca, del Fondo Pensione Agenti, della Cassa di Previdenza, “ma che vuoi, devo pur salvare qualche polizza auto, visto che la compagnia non fa altro che cacciare i miei clienti”. Il Gruppo agenti, lo Sna? “Ma chi li sta a sentire… fanno tutti gli affari loro. Se a me non ci penso io, non ci pensa nessuno”.
Invece no, le tutele fornite agli agenti dall’Ana in vigore costituiscono un unicum nel panorama europeo e mondiale, un insieme di diritti che nessuno dovrebbe poter inquinare con il proprio sconsiderato agire quotidiano. E un diritto non è ciò che ci viene offerto o concesso generosamente dall’impresa, è ciò che neanche essa può toglierci, a meno che non glielo permettiamo con la nostra arrendevolezza e con la tendenza a interiorizzare le idee dell’industria assicurativa secondo la quale già da dieci anni dovremmo essere stati soppiantati dalla vendita diretta e dai canali telematici. A tal proposito e parafrasando le parole pronunciate dal Vescovo Desmond Tutu, diremmo che non siamo interessati a raccogliere le briciole di libertà gettate sul tavolo dalla mandante che si considera la nostra padrona.
Vogliamo piuttosto essere messi nelle condizioni di poter scegliere nel menu completo dei nostri diritti.
Se tutto questo è vero, allora basta alimentare con la nostra produzione i canali che ridicolizzano la categoria degli agenti, che nei loro spot pubblicitari riducono la nobile professione assicurativa alle considerazioni di un cane e la scelta consapevole del cliente all’effetto sgradevole provocato da un peto maleodorante. Ciò che manca ai comparatori, che poi altro non sono se non broker o agenti, è la prossimità sul territorio e soprattutto il rapporto fiduciario con il cliente di cui soltanto l’agente è portatore.
Basta anche cedere alla sirena delle compagnie che, a dispetto delle decine di miliardi di utile incamerati negli ultimi dieci anni nella Rcauto, sgiunzagliano i loro sherpa in giacca e cravatta presso le agenzie a proporre accordi di collaborazione con le rispettive telefoniche, con l’intento di smantellare nei fatti l’impalcatura di tutele contenute nell’Ana, non riuscendo a farlo sul tavolo di rinnovo coraggiosamente presidiato dallo Sna.
Basta infine regalare alle compagnie i dati dei clienti, l’incasso dei premi, la parità di trattamento delle agenzie, perché la tenuta sui diritti acquisiti è la nostra unica garanzia di sopravvivenza e se ciascuno cede qualcosa nel segreto della propria agenzia, la somma dei cedimenti farà venire meno il senso stesso del negoziato generalista che non avrà più nulla da difendere. E allora sì che prenderà forma il sogno delle imprese di relegarci al ruolo di misere comparse nel mercato assicurativo italiano.
Roberto Bianchi

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