♦ Il prossimo numero de L’Agente di Assicurazione conterrà il commento dei passaggi più significativi contenuti nel documento presentato dall’Ania sull’assicurazione italiana 2022-2023 e pertanto in questa sede mi limiterò ad anticipare alcune brevi considerazioni riferite alla relazione letta dalla Presidente Maria Bianca Farina in occasione della recente Assemblea annuale, apparse peraltro piuttosto prudenti forse in considerazione dello scenario di grande incertezza determinato dalle situazioni di crisi perduranti nell’intero vecchio continente.
Posto che ciascuno a casa propria ha il diritto di dire ciò che meglio crede, vorrei però rimarcare la totale assenza di qualunque riferimento alla categoria degli agenti di assicurazione, nonostante essi rappresentino i tre quarti della raccolta Rami danni e addirittura l’85% di quella Auto, per un totale di quasi 26mld di euro in termini di premi intermediati.
In considerazione del fatto che nel 2022 le imprese hanno incamerato dai Rami danni all’incirca 2,7mld di euro di utile, a fronte di un combined ratio sostanzialmente invariato rispetto all’anno precedente, possiamo affermare a pieno titolo che gli agenti hanno generato all’industria assicurativa utili nello scorso esercizio per quasi 2mld di euro e un totale vicino ai 15mld negli ultimi otto anni. Nel contempo il ramo Vita, appannaggio di altre forme di intermediazione, ha prodotto nel 2022 perdite per 0,4 mld. Non foss’altro per questo motivo e cioè per riconoscenza, se non anche per riguardo all’elevato profilo etico e professionale espresso dalla nostra categoria, sarebbe stato più appropriato, ma questa è una valutazione del tutto personale, che la Presidente Farina avesse rivolto un chiaro cenno di apprezzamento all’indirizzo della rete agenziale.
Questa indifferenza verso la gallina dalle uova d’oro fa il paio con l’entusiasmo dimostrato verso l’intelligenza artificiale capace, secondo la Presidente dell’Ania, di segnare “una discontinuità tecnologica trasversale e l’avvio di una nuova fase di sviluppo e crescita”. In un momento nel quale la comunità scientifica internazionale si interroga sui potenziali pericoli derivanti dallo sviluppo dell’AI, definiti da grandi capitani dell’industria tecnologica tra i quali Elon Musk, cofondatore di Open Ai e da mille scienziati dei più prestigiosi atenei di tutto il mondo potenzialmente letali per l’intera umanità, l’Ania si dice “determinata a svolgere un ruolo a servizio dei suoi associati per accompagnare il loro percorso evolutivo di utilizzo e governo dell’intelligenza artificiale”.
Le compagnie assicurative confidano di poter sviluppare, grazie al suo utilizzo “un’offerta più ampia e molto più efficace”, sapendo di poter contare, aggiunge Maria Bianca Farina, sull’enorme patrimonio di dati di cui sono in possesso. E ciò per buona pace di tutti coloro che si ostinano a non capire il ruolo giocato, in chiave strategica, dalla proprietà industriale del dato, ovvero delle informazioni fornite da ogni singolo cliente. Caduto il velo di ipocrisia che ha caratterizzato l’intera vicenda sarà ora evidente, anche ai fiancheggiatori più ostinati, la pretestuosità della motivazione addotta dall’Ania alla base della rottura del tavolo per la riforma dell’Ana 2003. Il focus del contenzioso non era infatti la titolarità del dato, quanto piuttosto la creazione dei presupposti necessari alla gestione esclusiva del rapporto con il cliente, attraverso la sottoscrizione in sede aziendale di accordi dati capestro per gli agenti.
Il combinato disposto tra l’indifferenza riservata all’insostituibile funzione sociale espressa dall’agente e l’enfasi con la quale sono state esposte le aspettative dell’industria assicurativa verso l’utilizzo dell’intelligenza artificiale, assume pertanto grande rilevanza anche per il consumatore che, nel futuro, potrebbe essere costretto ad affidare il proprio bisogno di sicurezza a un assistente virtuale il quale, pur parlando e ragionando come una persona reale, non potrà mai disporre della professionalità e soprattutto dell’umanità di cui è portatore un agente professionista.
Per concludere, vorrei evidenziare un paradosso al quale stiamo assistendo in questa fase di eccitazione digitale collettiva: un modello generativo GPT potrebbe sostituire non soltanto un agente di assicurazione o un dipendente di compagnia, ma persino un top manager così dotato di creatività da trasformarsi nell’artefice della sua autodistruzione. A forza di far scoppiare palloncini per eliminarli dal mondo assicurativo e sostituirli con avatar informatici, finirebbe così per divenire egli stesso un palloncino da bucare con l’ago che tiene in mano.
Questa sì sarebbe una notizia da prima pagina.
Roberto Bianchi