♦ Voi direte: ma che c’è di nuovo? In effetti niente, il tema dell’appartenenza conforme ai dettami collettivi è ricorrente in ogni sodalizio e non sarebbe ragionevole pensare che il nostro Sindacato possa fare eccezione.
I più attenti alle regole sostengono che il rispetto dei principi statutari e delle tesi approvate dagli organismi con funzioni decisionali siano due fattori imprescindibili per il corretto funzionamento di qualunque struttura associativa. Per contro la minoranza, tantopiù se sparuta come nel caso dello Sna, è invece fautrice della libertà di pensiero e di azione, dietro la quale si cela l’obiettivo di screditare il gruppo dirigente al solo scopo di sostituirlo. Nel mezzo si collocano tutti coloro che predicano bene riconoscendosi a parole nelle strategie sindacali e poi, nelle segrete stanze in cui si giocano interessi di parte, razzolano male facendo cose diverse, se non addirittura opposte rispetto a quelle deliberate nell’interesse generale. In altre parole, ci sono iscritti che salgono sul tram facendo come tutti gli altri viaggiatori il biglietto per il capolinea per poi scendere alla prima fermata utile quando hanno ottenuto ciò cui erano interessati. Non di rado accade che, una volta scesi dal mezzo di trasporto, questi ultimi si lascino andare a prese di distanza per lo più pretestuose e che si permettano di accusare, o persino insultare, quanti li richiamano al rispetto delle prassi e degli obiettivi comuni.
In questo caso incombe sul vertice l’obbligo di valutare se sia più utile al Sindacato tollerare per quieto vivere i comportamenti devianti o, piuttosto, tutelare gli interessi della collettività, a costo di generare sporadici mal di pancia corredati da relativa defezione. Per essere più chiaro, quando un iscritto la fa grossa merita di essere punito o, all’opposto, è preferibile chiudere un occhio per non correre il rischio che se ne vada sbattendo la porta e portando con sé qualche compagno di viaggio? E badate bene, questa non è una questione di poco conto perché il pericolo che il gruppo dirigente perda credibilità interna ed esterna a causa del diffondersi di una pericolosa tendenza al rifiuto delle direttive generali, ovvero che subisca discredito a causa di una diffusa babilonia, distruggerebbe qualunque associazione. Pertanto mi sento di dire che gli errori dei singoli vanno puniti con fermezza, sia pure facendo appello al buon senso e alla flessibilità spettanti a coloro che hanno il compito della rappresentanza.
Esiste però anche una sfera collettiva nel ragionamento che sto sviluppando visto che, tra i tanti valori nei quali si riconosce il Sindacato nazionale agenti, ce n’è uno, quello dell’autonomia rispetto alla controparte istituzionale rappresentata dall’industria assicurativa, che costituisce il fondamento della propria attività contrattualistica. L’indipendenza dalle logiche dominanti delle imprese è infatti l’unico baluardo contro il pericolo della deriva aziendalista cui sono sottoposte quotidianamente, per loro intrinseca debolezza, le rappresentanze aziendali. Ecco pertanto che la vera quaestio, ogni giorno più vexata, consiste nell’integrare correttamente la funzione verticale del Sindacato generalista che tutela la categoria nel suo insieme, con quella orizzontale dei Gaa che fanno patronato aziendale. Laddove il sestante, che consente di verificare la posizione momento per momento e insieme di individuare la rotta da seguire, resta sempre e comunque quello di primo livello attribuito al Sindacato.
Senonché il negoziato svolto nell’ambito della singola impresa esonda continuamente dal proprio alveo di secondo livello e tracima in quello generalista, per esempio nell’accettazione dello jus variandi provvigionale soprattutto in ambito Rcauto, della mensilizzazione e dell’utilizzo dei pos di compagnia che comportano il versamento diretto dei premi sui conti della mandante, della clusterizzazione cioè della disparità di trattamento delle agenzie che viene persino normata negli accordi integrativi, dei rappel collegati al mantenimento dei premi e dei pezzi in aperta violazione delle leggi sul plurimandato e sulle collaborazioni orizzontali. Per non parlare poi della gentile concessione di prerogative come la contitolarità e la proprietà industriale dei dati fatta alle imprese che tenteranno di utilizzarle come cappio al quale appendere l’intermediazione professionale.
Per questo non sottoporre alla valutazione del Sindacato, o farlo quale puro atto formale, i testi degli accordi integrativi espone lo Sna al fatto compiuto e rischia di depotenziarne l’attività istituzionale, oltreché di danneggiare la trattativa per il rinnovo dell’Accordo nazionale agenti, costituendo grave pregiudizio per l’intera categoria.
Censurabile non è quindi soltanto il comportamento dei singoli che si dimostrano refrattari al rispetto delle regole associative, ma anche quello dei gruppi dirigenti che fanno ammuina per dissimulare il proprio cedimento aziendalista. E ciò non rappresenta soltanto una violazione dei principi di appartenenza associativa e dell’obbligo di garantire l’autonomia dalle controparti, ma anche un danno sul piano economico perché mantenere buone relazioni industriali cedendo in cambio le principali conquiste derivanti da cento anni di battaglie sindacali genera inevitabilmente l’ulteriore impoverimento della categoria. Cosicché questi colleghi che si dimostrano disponibili allo smantellamento progressivo dei diritti acquisiti mettono le mani in tasca a ciascuno di noi e farebbero bene a smettere.
Sogno un Sindacato di duri e puri disposti al sacrificio personale? Non proprio, anche se non nascondo che un po’ di rigore in più probabilmente gioverebbe a tutti. Sono piuttosto convinto che le regole vadano rispettate scrupolosamente finché non vengono democraticamente modificate e che non possono essere considerate, quando fa comodo a qualcuno, alla stregua di semplici ipotesi di discussione indirizzate esclusivamente ad ottenere vantaggi partigiani, con ciò escludendo che il fine siano benefici personali, sospetto meschino dal quale sono immune.
Roberto Bianchi