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Roberto Bianchi

 

♦ “È giunto il tempo della trasparenza”, potrebbe essere questo lo slogan sul quale incentrare tutte le attività del Sindacato nazionale agenti per fare fronte alla disinvoltura con la quale l’industria assicurativa sembra essere sempre più orientata a fare business. Non mi riferisco alla trasparenza delegata all’adempimento normativo e regolamentare, obbligatorio e spesso insieme inutile ai fini della corretta informazione perché rispondente a logiche burocratiche lontane dai bisogni della collettività, quanto piuttosto a quella ispirata all’effettivo beneficio che ne deriverebbe all’utente assicurativo.
Va detto che il principio civilistico della trasparenza impone in generale e in particolare nella sua declinazione in campo assicurativo, alle parti contrattuali di agire secondo buona fede nella fase della negoziazione e della formazione del contratto, così come in quella dell’esecuzione contrattuale. Eppure l’esperienza concreta ci ha insegnato che l’ambiguità e la scarsa chiarezza dei contenuti contrattuali sono tra i motivi di maggiore doglianza da parte della clientela, nonché fonte di innumerevoli reclami e contenziosi. I soliti buonisti potrebbero sostenere che si tratti soltanto di scarsa chiarezza ed esaustività dei documenti, di difficile accessibilità alle clausole che disciplinano aspetti chiave come decadenza, nullità, esclusioni, limitazione delle garanzie, franchigie e scoperti, insomma di inadeguata leggibilità delle garanzie reali, facilmente correggibile se le compagnie agissero sempre senza malizia. Sarebbe inoltre possibile addurre come loro attenuante l’effetto bulimico provocato dall’ipertrofia burocratica del Regolatore che già nel 2018 aveva elaborato le “Linee guida per la semplificazione dei contratti assicurativi”, salvo poi ignorare la ponderosità dei set informativi composti da centinaia di pagine che nessuno leggerà mai. Volendo utilizzare il combinato disposto della regola “Meno è di più”, con la sua estensione aggiornata “Meno, ma meglio”, potremmo davvero ribaltare il paradigma della sovrabbondanza documentale che affolla l’habitat assicurativo e ridurre la trasmissione informativa rivolta alla clientela a poche battute di sostanziale efficacia, meglio se concordate con le rappresentanze dei consumatori.
La questione è, però, molto più ampia e riguarda almeno altri due macro-problemi, primo dei quali la propensione affaristica dell’industria assicurativa a ispirare le proprie azioni alle esigenze di bilancio anziché alla funzione sociale che la collettività vorrebbe attribuire alla previdenza assicurativa privata. Furio Truzzi, Presidente onorario di Assoutenti parla senza mezzi termini della necessità di varare un “Piano Marshall” destinato alla redistribuzione di parte degli utili maturati dalle imprese di assicurazione, che peraltro “dovrebbero garantire una forte socialità del loro operare” sotto forma di “aiuti alle famiglie e alle imprese colpite dalle alluvioni in Piemonte e Val d’Aosta, e a quelle messe in ginocchio dalla siccità e dagli incendi in Sicilia e Campania… I consumatori, le loro ragioni e la loro lungimiranza meritano di entrare nella vigilanza del settore dalla porta principale” e anche gli agenti, aggiungo io, non ne dovrebbero più rimanere esclusi.
In secondo luogo la tendenza delle imprese a muoversi a cavallo della sottile linea di confine che demarca la correttezza comportamentale dall’interpretazione spregiudicata delle regole del gioco, come nel caso delle clausole vessatorie riguardanti le carrozzerie convenzionate, per le quali consumatori, carrozzieri, periti, agenti di assicurazione iscritti allo Sna e familiari vittime della strada hanno chiesto congiuntamente un intervento risolutore al Parlamento. Ne sono inoltre testimonianza i 40 provvedimenti di importo medio pari a 158 mila € emessi dall’Ivass contro le pratiche scorrette delle imprese per un totale oltre 6 mln € nel solo 2023. Lo conferma infine il contenzioso promosso dallo Sna sullo jus variandi di natura contrattuale e tariffaria introdotto nelle polizze di nuova emissione da alcune tra le maggiori compagnie del mercato mediante una clausola che consente loro di limitare o eliminare garanzie a proprio piacimento e di aumentare unilateralmente il costo di un contratto assicurativo senza neppure disciplinarne ad anteriori i criteri di modifica.
Inoltre, sostengono le associazioni Confconsumatori, Assoutenti e Movimento Consumatori, le compagnie tentano di estendere la variabilità “anche alle polizze già stipulate da anni…
Una condotta aggravata dalla pressione che le compagnie stanno tentando di indurre forzando i loro agenti (con pressioni indebite o particolari premi economici) a costringere i clienti ad accettare le nuove condizioni peggiorative”.
Le mandanti spingono i propri intermediari e sappiamo quanto le compagnie riescano ad essere persuasive soprattutto con gli agenti monomandatari e le agenzie di piccole dimensioni, ad effettuare riforme massive di portafoglio per sostituire polizze più favorevoli ai clienti con altre meno vantaggiose e/o di prezzo superiore. Trovo utile segnalare al proposito come lo stesso Luigi Federico Signorini, Presidente dell’Ivass, nel corso dell’Assemblea Annuale dell’Ania svoltasi a Roma lo scorso 24 giugno, non si sia sottratto dall’esprimere le proprie perplessità in materia.
Sta qui il motivo per il quale ritengo sia giunto il tempo della trasparenza, è necessario che la rappresentanza degli agenti professionisti, lo Sna, stabilisca le regole comportamentali ed etiche necessarie alla presa di distanza dal praticato quotidiano di coloro che non pongono i diritti del cliente al centro dell’universo assicurativo. Si tratta di una scelta di campo irreversibile che lo Sna ha intrapreso da tempo con la Carta dei valori e con il Codice etico e deontologico, ma che necessita ora di una campagna nazionale di moralizzazione capace di coinvolgere tutte le forze buone che si muovono nello scenario assicurativo, comprese le compagnie, perché no, che intendano davvero seguire questa direzione virtuosa.
Roberto Bianchi

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