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Roberto Bianchi

 

♦ Dovete sapere che ho vissuto un’infanzia relativamente serena in una famiglia molto severa, nella quale i piccoli avevano sempre torto, a prescindere da ciò che era effettivamente successo. Ricordo come, ogni qualvolta sembrava fossi responsabile di una colpa, gli adulti si sentivano in dovere di rivolgermi l’immancabile intimazione: “chiedi scusa”. In effetti si trattava di un’espressione salvifica che li sollevava dalle proprie responsabilità rispetto al mio operato e, nel contempo, scusandomi, sviluppava indulgenza nella persona coinvolta nella mia trasgressione che, per essere sincero, il più delle volte avevo effettivamente commesso.
Bene, ora che sono piuttosto maturo, mi piacerebbe indirizzare a Vincenzo Cirasola, se soltanto fosse un ragazzino imprevedibile come sono stato io, lo stesso invito: “chiedi scusa”. Questo scagionerebbe tutti noi dall’implicazione di averlo a suo tempo eletto Vicepresidente del Sindacato Nazionale Agenti e consentirebbe a lui di apparire meno colpevole nell’avere, dapprima, accettato le proposte irricevibili dell’Ania e, successivamente, di avere svolto una vera e propria campagna dissuasiva rivolta agli iscritti del Fondo Pensione Agenti affinché spostassero il proprio zainetto previdenziale integrativo presso anonimi Pip aziendali.
D’altro canto, si sa, chi ha il coraggio di ammettere un errore e chiede scusa, viene apprezzato come persona intelligente, mentre coloro i quali si ostinano a mantenere il punto nonostante i fatti lo smentiscano clamorosamente, risultano ridicoli, se non addirittura grotteschi.
Insomma, chiedere scusa può quantomeno salvare la faccia purché, sia ben chiaro, cambiare idea non rappresenti l’unica via d’uscita possibile da prese di posizione continuamente sbagliate, nel qual caso il potenziale pentito farebbe la figura di quello che non ne indovina una e allora sarebbe meglio che facesse le valigie, in quanto non più destinatario della fiducia collettiva.
Sì, è vero, chi ha ascoltato il suggerimento di uscire dal Fonage ha rimesso un sacco di quattrini riscattando il capitale maturato, ha perso la preziosa garanzia contrattuale della rendita definita e dei contributi base, aggiuntivo e integrativo da parte delle mandanti, ha dovuto rinunciare alla pensione di invalidità, alla pensione di reversibilità e alla pensione indiretta, ma non è escluso che si sentirebbe ugualmente benevolo nei confronti di Cirasola, cui forse non negherebbe l’attenuante della buona fede.
Qualcuno potrebbe dire che l’ammissione di avere sbagliato in buona fede è comunque il riconoscimento di una cantonata e non costituisce una esimente, in modo particolare per coloro che ne subiscono le conseguenze. Soprattutto perché l’errore più grave commesso da Vnicenzo - mi permetto di chiamarlo per nome in virtù dell’antica confidenza reciproca quando mi proponeva di diventare responsabile della comunicazione del Ga.Gi. - non riguarda soltanto la sfera economica, quanto piuttosto quella politica avendo accettato la volontà delle imprese di smantellare la componente solidaristica del Fondo Pensione, uno dei pilastri fondamentali della contrattazione di primo livello, trasformandolo in un “pippone” come si diceva all’epoca. E anche di avere lasciato lo Sna da solo a battersi per il salvataggio e la messa in sicurezza del Fonage che, grazie all’avvedutezza dell’attuale gestione a guida di Francesco Libutti, ha dimostrato tutta la sua solidità finanziaria, tanto da potersi permettere un primo aumento delle pensioni utilizzando parte degli utili di esercizio.
L’importante resta comunque l’onestà intellettuale di interiorizzare l’errore e provarne un sano senso di colpa, affinché il ravveduto, nel futuro, sappia sempre da che parte schierarsi e cioè dalla parte degli agenti di assicurazione.
Perché se dovesse succedere di nuovo ciò che è accaduto in occasione della crisi attraversata dal Fondo Pensione e di tutte le altre battaglie che il Sindacato è costretto a combattere solitariamente per la tutela dei nostri diritti e dei nostri interessi, allora risulterebbe ridicola anche l’eventuale ammissione dei propri errori e le conseguenti scuse che, pur doverose, in realtà non perverranno mai all’indirizzo della categoria.
Roberto Bianchi

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